Imprese in crisi: che cosa fare?

Il nuovo Codice della Crisi e dell’Impresa indica tutti gli strumenti a cui possono fare riferimento gli imprenditori a fronte di una potenziale crisi, al di là delle dimensioni e della natura della propria impresa. Per esempio la liquidazione giudiziale, che ha preso il posto del fallimento così come era inteso nella normativa in vigore in precedenza; oppure il concordato preventivo o il cosiddetto concordato preventivo semplificato, che rappresenta una novità.

Una soluzione alternativa potrebbe essere quella che prevede di ricorrere a un PRO, cioè un piano di ristrutturazione soggetto a omologazione: anche questa è una novità di rilievo nel contesto delle risorse a disposizione per la risoluzione di una crisi.

Ancora, una soluzione potrebbe essere individuata nella predisposizione di piani di risanamento o, nella loro formulazione nuova, di accordi di ristrutturazione.

La composizione negoziata

Come ci hanno spiegato gli esperti dello Studio Legale D’Antuono, che ci hanno fornito le informazioni presenti in questo articolo, un ulteriore strumento che può essere adottato per la risoluzione di una crisi è rappresentato dalla composizione negoziata.

Gli imprenditori, in sostanza, hanno l’opportunità di chiedere di poter accedere alla Camera di Commercio del territorio di competenza allo scopo di arrivare, appunto, a una composizione negoziata.

Ma che cosa vuol dire tutto questo dal punto di vista pratico? In sostanza gli imprenditori e gli amministratori delle società sono tenuti a privilegiare gli interessi dei creditori in confronto a quelli dei soci. Subentra la composizione negoziata in qualità di accordo di natura volontaria, confidenziale e stragiudiziale a cui si può accedere e che viene messo a disposizione tramite una piattaforma online.

Si tratta di una scelta che può essere adottata da qualunque impresa che si trovi in una situazione di instabilità dal punto di vista finanziario ed economico che lasci intendere la possibilità di un recupero anche nel caso in cui siano potenzialmente prevedibili delle situazioni critiche o di insolvenza.

Imprese in crisi: i segnali di allarme

Il Codice della Crisi e dell’Insolvenza, all’articolo 3, specifica quali sono i segnali di allarme che devono richiedere una veloce attivazione degli organi sociali grazie a cui sia possibile superare le crisi finanziarie. Un segnale di allarme è rappresentato, per esempio, da esposizioni scadute da almeno 60 giorni nei confronti del sistema creditizio e degli intermediari per almeno il 5 per 100 delle esposizioni.

Un altro segnale va individuato nelle passività verso i fornitori scadute da almeno 90 giorni di entità superiore alle passività che non sono ancora scadute.

Il terzo segnale di allarme consiste negli interessi di mora a causa dei quali si attivano gli obblighi di segnalazione per i creditori pubblici qualificati.

Infine, è necessario citare i ritardi relativi ai pagamenti degli oneri retributivi scaduti da almeno 30 giorni, se sono di entità superiore a metà delle passività mensili totali.

Gli obblighi degli imprenditori

Il novellato articolo 2086 del codice civile insieme con l’articolo 3 del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza fa da corollario agli obblighi in carico agli imprenditori per la rapida identificazione dei segnali di crisi.

Gli imprenditori stessi sono tenuti a predisporre delle misure appropriate dal punto di vista contabile, amministrativo e organizzativo, a seconda della natura e delle dimensioni della stessa impresa. Ne deriva uno scenario nuovo, nel cui ambito risultano indispensabili la programmazione del bilancio e, al tempo stesso, la pianificazione industriale.

Le tutele sono predisposte per mettere le imprese nelle condizioni di percepire la propria instabilità a livello finanziario e appurare se gli indebitamenti siano sostenibili o meno, anche nella prospettiva di una continuità aziendale per l’anno successivo.

Da quando è in vigore il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza

Il decreto legislativo n. 14 del 12 gennaio del 2019 ha sancito l’introduzione del nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza. Il 15 giugno di quest’anno, poi, il governo ha apportato delle modifiche correlate alla Direttiva sull’Insolvenza, che è la Direttiva 2019/1023 della Ue. Tale direttiva ha a che fare con i provvedimenti che devono aumentare l’efficacia delle procedure di insolvenza, di esdebitazione e di ristrutturazione, ma anche con i quadri di ristrutturazione preventiva, con l’esdebitazione e con le interdizioni. Questa direttiva ha apportato dei cambiamenti alla Direttiva 2017/1132 della Ue.

Perché ora c’è un nuovo codice

La nuova legge è entrata in vigore il 15 luglio del 2022 e ha sostituito la legge fallimentare contenuta nel Regio Decreto n. 267 del 16 marzo del 1942. Infatti la legge fallimentare precedente risaliva esattamente a 80 anni fa: per altro essa è ancora la disciplina di riferimento per quelle procedure concorsuali che sono cominciate prima del 15 luglio.

L’entrata in vigore del nuovo Codice della Crisi e dell’Insolvenza in origine era prevista per il 15 agosto del 2020, ma poi era stata rinviata a causa della pandemia da coronavirus e delle conseguenze scaturite.

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